di Lorenzo Bagnoli
Le megalopoli del mondo, ovvero quelle conurbazioni complesse di oltre 10 milioni di abitanti, rendono conto del 9% del consumo di elettricità globale, del 10% del consumo di carbonfossili e del 13% nella produzione di rifiuti solidi. Questi risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences dal team di ricerca presieduto dal Prof. Christopher A. Kennedy dell’Università di Toronto, ha valutato in modo analitico i flussi di consumi e produzioni di scarto delle 27 megalopoli mondiali. La continua urbanizzazione a cui si sta assistendo nell’ultima decade, è uno dei fenomeni sociali ed ambientali più evidenti che sta portando il pianeta ad un crescente stress produttivo.
Dalle statistiche ottenute nello studio del Prof. Kennedy, sono emersi evidenti allarmismi riguardanti l’uso smodato di elettricità; il consumo di carburanti, non esclusivamente per il traffico veicolare quanto per il riscaldamento degli edifici e per il funzionamento degli impianti industriali; il consumo d’acqua, la produzione di rifiuti, il consumo di cemento e di acciaio. Con più della metà delle persone sul pianeta che nel 2050 vivranno nelle città, misurare con una certa precisione le emissioni dei grandi agglomerati urbani diventa una necessità alla quale non si può sfuggire, se si vuole provare a tenere traccia degli inquinamenti e delle strategie per combatterli. Complessivamente, i flussi di materiali ed energia utilizzati variano in modo sostanziale tra le diverse megalopoli, con differenze in merito alla fascia di industrializzazione e di sviluppo economico e sociale. New York, cui spettano diversi primati negativi secondo lo studio, ha un consumo pro capite di energia 28 volte più elevato di quello della città indiana di Kolkata, un consumo d’acqua pro capite 23 volte più elevato di Giacarta, capitale dell’Indonesia, una produzione di rifiuti solidi 19 volte maggiore di Dacca, capitale del Bangladesh. Un’analisi più approfondita mostra che questi utilizzi sono il risultato delle dinamiche complesse che hanno caratterizzato l’intensa urbanizzazione sul pianeta. Nelle parti del mondo dove l’economia è più sviluppata, le megalopoli (come New York o Los Angeles) sono anche città con alti indici di produttività a cui è legato un evidente sviluppo economico e sociale. Questo processo causa un evidente consumo di energia e di materiali necessari a far fronte alle richieste del mercato con un relativo impatto sulla produzione di CO2. In questi contesti industrializzati, attualmente il problema principale è rendere più sostenibile l’impiego delle risorse per sopperire agli output negativi dei processi industriali. Nei paesi in via di sviluppo, e in particolare nel Sud Est Asiatico, la situazione è palesemente incentrata sotto diverse problematiche sia sociali che di sviluppo. Nelle megalopoli meno sviluppate una larga fascia della popolazione non ha tutt’ora l’accesso ad un livello minimo di risorse quali l’acqua potabile, l’elettricità, o di servizi quali una rete fognaria o una rimozione organizzata dei rifiuti. La priorità, in queste realtà, è quello di innalzare ad uno standard di vivibilità consono a quello richiesto l’intero organismo urbano, garantendo all’intera popolazione quella qualità di vita necessaria al benessere sociale. Allo stesso modo, l’utilizzo smodato delle vecchie tecnologie e la mancanza di un’adeguata sensibilizzazione al problema, porta questi centri a sviluppare ugualmente un’ingente quantità di emissioni tossiche. La necessità di avviare un processo di osservazione ed analisi di queste realtà urbane è quindi divenuto una priorità per l’intera comunità scientifica. Quest’impellente problema ha portato alla progettazione di un programma di mappatura per le emissioni di CO2 che quotidianamente vengono rilasciate nell’aria in quantità esponenziale. Il Megacities Carbon Project, che vede in fila dietro alla NASA una sequela impressionante d’istituzioni scientifiche e governative, è il primo modello di sperimentazione applicato a queste realtà. Quest’analisi complessa, operata con i sistemi più avanzati per il monitoraggio delle particelle sottili, è attualmente in via di sperimentazione a Los Angeles, una delle città più inquinate del mondo. Per controllare lo stato della città è stato installato uno spettrometro solare di Fourier — a monitoraggio costante della variazione dello spettro luminoso della piana — accoppiato ai più innovativi sistemi di rilevamento di CO2. Questi dati, combinati tra essi, realizzano in tempo reale una panoramica sulla situazione a cui si sommeranno i dati satellitari del Orbiting Carbon Observatory (OCO-2). Nei prossimi anni, infatti, la NASA metterà in orbita il OCO-2 installando sulla ISS ulteriori strumenti di rilevamento volti all’integrazione dei dati materiali rilevati in loco. Le istantanee del “tempo chimico” che sarà possibile ottenere sui centri popolati permetteranno di rilevare velocemente lo stato di inquinamento di una città prendendo circa 3.000 “campioni” in appena qualche secondo. La situazione limite che si palesa nelle megalopoli è uno stato che deve porre un chiaro campanello di allarme nella coscienza dell’uomo. Il costante stress a cui è sottoposto il pianeta non potrà essere compensato a lungo dalle tecnologie o dagli interventi di tamponamento che si rendono ad oggi sempre più necessarie. Seppur sia indicato avviare in ogni città complessa un operazione di mappatura e controllo delle attività di consumo ed emissione nocive, resta ancor più evidente che la prevenzione ed un utilizzo consapevole dei materiali, dei carbonfossili e delle risorse idriche sia il miglior modo di preservare il nostro pianeta in modo intelligente.

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