di Lorenzo Bagnoli
La lettura del pensiero moderno riguardo l’evoluzione dell’idea di città evince un emblematico spartiacque tra la visione utopica-ideale promossa fino all’Ottocento e la successiva attuazione della nuova città sviluppata nel Novecento. In questo passaggio si nasconde il paradigma dell’attuazione e della sperimentazione progettuale della città, un tassello fondamentale nel percorso di strutturazione del pensiero urbano contemporaneo. Il Novecento racchiude in un secolo l’esperienza complessa di un continuo ripensamento del pensiero critico sul tema della città e del patrimonio urbanistico-edilizio. Per questa sua unicità è possibile evincere non solo la diversità di approccio metodologico ai vari temi progettuali ma leggere come il tempo e l’esperienza culturale abbia contribuito a far virare il pensiero critico e processuale. In questo quadro, il lavoro complesso sviluppato sul tema della città ideale e sulle sperimentazioni compiute nel secolo passato in relazione all’esperienza olivettiana ad Ivrea, è sicuramente una sintesi di chiara lungimiranza intellettiva. Gran parte dell’esperienza architettonica italiana del Novecento ha segnato il tempo per aver dato vita ai più grandi progetti del nostro patrimonio culturale, imprimendo in modo viscerale un segno nelle metodologie compositive e nel più complesso disegno urbano. Senza dover ampliare l’analisi ad un’ampia visione nazionale, nella stessa Ivrea si racchiude la sintesi di queste valutazioni. Dai magistrali progetti di ampliamento industriale progettati dalla coppia Luigi Figini e Gino Pollini tra gli anni trenta e quaranta (Officine Olivetti) fino alle sperimentazioni residenziali prodotte dalle visioni di Roberto Gabetti e Aimaro Isola nella seconda meta del Novecento (Talponia), passando ovviamente per quelli di nuovo sviluppo sociale (Casa Blu) della metà anni cinquanta di Eduardo Vittoria, rappresentano una sintesi chiara e definita di questo nuova metodologia di concezione progettuale. L’architettura di Ivrea, cosi come in svariate altre realtà italiane, diviene il simbolo di una rinascita matura dell’intelletto, una rappresentazione critica di un nuovo modello del fare architettura. Le esperienze nostrane aprirono così ad un dibattito internazionale che vide il palcoscenico nazionale un esempio per una comparazione di ampio respiro. Leggendo a posteriori l’esperienza di Olivetti si può definire come essa abbia rappresentao un indiscusso modello di riferimento per quanto riguarda l’approccio ad un’innovazione fortemente radicata. Questo bilanciamento ideale tra passato e futuro — o meglio — tra innovazione e tradizione, caratterizza ad oggi l’interezza degli interventi, lasciando ai posteri l’evidenza tangibile di cosa rappresenta il “saper fare architettura”. Dall’analisi e dalla profonda comprensione della storia, dell’evoluzione e della critica non solo della città industriale ma di tutto il pensiero del Novecento, è possibile tracciare un percorso che racchiude in se la logica di una fruttuosa contaminazione e di un chiaro carattere identitario. La lettura del passato diviene così uno strumento fondamentale per poter criticare in modo costruttivo l’operato contemporaneo, sviluppando un naturale e costruttivo senso critico alla legittimità dello stesso e della sua interpretazione. Questa visione apre al pensiero di una legittima continuità culturale, radicata nel pensiero novecentesco come un elemento prioritario per la sua reinterpretazione e, allo stesso tempo, salvaguardia. Nell’eterna ricerca di un’utopica convinzione progettuale introno alla questione, il secolo passato ha rappresentato il terreno più fertile dove poter sperimentare e ricercare quelle logiche progettuali che fanno dell’architettura una delle arti di sintesi più nobili che il tempo possa lasciare ai posteri. In quest’ottica fanno eco le parole di Ernesto Nathan Rogers nel Casabella del 1953 dove evidenzia come “Noi [architetti] crediamo nel fecondo ciclo uomo- architettura-uomo e vogliamo rappresentarne il drammatico svolgimento: le crisi, le poche indispensabili certezze e i molti dubbi, ancor più necessari. [...] Continuità significa coscienza storica”. È con spunti di analisi come questo che il pensiero del Novecento resta tutt’oggi un punto focale sul quale piantare i semi di una visione concreta e ricca di significato, conscia del fatto che il futuro progettuale non sia solo applicazione di innovazione ma una sintesi di conoscenze e competenze storico-culturali che definiscono in modo evidente l’identità del luogo e della sua storia. L’esperienza Olivettiana ad Ivrea diviene cosi lo spunto per una riflessione profonda sui principi che il Novecento lascia al nuovo millennio; un’eredità preziosa dalla quale attingere con intelligenza e lungimiranza affinché dai successi e dagli infelici fallimenti sia possibile continuare a trarre insegnamento. Dallo studio dell’azione passata è quindi possibile tracciare una sinergica e consequenziale reazione alla contemporaneità, evidenza del fatto che il metodo più completo per comprendere la legittimità del segno progettuale sia l’accettazione storica. Lo studio del passato diviene quindi uno strumento operante nodale nel rafforzare le fondamenta di quello che è uno sviluppo futuro, un approccio che si definisce come un nuovo obiettivo: l’Obiettivo Novecento.

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