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  • Writer's pictureIuvas

La rovina come sottrazione

L’ultima predica pronunciata all’interno della Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis si intitolata “Tutto Scompare”. Era il 1943. Di lì a qualche ora, della chiesa votiva dedicata dal Kaiser Guglielmo II al nonno, Guglielmo I, rimarranno soltanto i muri esterni e poco più della metà del tetto. I bombardamenti alleati faranno scomparire il resto. A ben guardare, però, più che scomparsa, si trattò di un vero principio di sottrazione di materiale, di forma. La struttura riuscirà non solo a resistere alle devastazioni di altri due anni di guerra ma a diventare, in virtù della propria mancanza, in virtù di quella parte i mateia e forma sottratta all’evento bellico, un simbolo di attesa. In attesa del nuovo intervento di edificazione, brutale quasi quanto la distruzione, che redimesse non solo la forma, in senso stretto, ma anche il significato. se infatti “il dente cariato” è stato solo in parte toccato, quasi a voler conservare il trauma di una generazione quasi annullata dalla guerra, la nuova chiesa, appoggiandosi a quel tramite storico, definisce nuovi significati, nuovi tipi estetici e nuovi valori etici. L’operazione di sottrazione si configura già come azione — in senso estremo - creativa, che opera uno stravolgimento nella percezione dell’oggetto originario. Sia che si tratti di sottrazione traumatica che di sottrazione artistica operata volontariamente, l’esito è sempre una messa a nudo del sotto o del dentro. I concetti di strappo (Mimmo Rotella), di scavo (Arnaldo Pomodoro), di scheletrificazione (Bernard Tschumi) e di estrusione della forma (Alberto Burri) rappresentano quindi azioni volte a svelare, attraverso il sacrificio di una componente, la verità profonda dell’oggetto. Le azioni sottrattive rivelano lo strato profondo della materia prefigurando, o meglio anticipando, l’arrivo della rovina che esplicita la natura intrinseca del palinsesto. Mentre Rotella con le sue azioni sottrattive scortica la superficie dell’opera per rivelarne i suoi strati nascosti, in una sorapposizione di materia e significati, Burri, vent’anni dopo il terremoto in cui fu distrutta la città di Ghibellina, farà un’operazione al contempo simile e inversa. Ghibellina verrà coperta con una scultura site specific, una scultura che aggiunge materia ma che sottrae alla vista e, sottraendo i resti distrutti della città, permette di rivelarne la sua vera forma, in una sintesi estrema (e a grandezza naturale) della morfologia urbana, da attraversare e contemplare. Le opere Office Baroque di Gordon Matta Clarck e la Tomba Brion di Carlo Scarpa, interfacciate fino a formare una lente di ingrandimento sull’oggeto architettonico, si presentano come azioni sottrattive con cui l’arte e l’architettura, sfidando il tempo e accellerandone gli effetti, prefigurano una rovina contemporanea. Rovina contemporanea in cui la sottrazione non è solo mancanza ma opportunità; possibilità di guardare attraverso, di osservare l’oggetto architettonico da una nuova prospettiva.

Così come una nuova prospettiva è quella che viene inquadrata dall’opera di Jorge Oteiza Caja Vecia: l’immagine che la scultura ci presenta, come in uno schermo di una vecchia tv in bianco e nero, è un collage di Arata Isozaki, dal titolo Re-Ruined Hiroshima. In questo caso la sottrazione viene interpretata non come mancanza fisica, ma come sottrazione di senso e scopo: le rovine di Hiroshima, forse il punto più drammatico della storia dell’umanità, in un clima di devastazione ancora più tragico di quello della chiesa dedicata al Kaiser Guglielmo, vengono ripopolate da Isozaki con strutture scheletriche, che si posano timidamente sul paesaggio della distruzione, imitandone la figuratività senza entrarci mai in contatto, quasi a voler dichiarare l’inadeguatezza dell’architettura di fronte alla morte. La sottrazione diventa pertanto atto fondativo. L’aratro del fondatore descritto da Plutarco compie un gesto sottrattivo, il solco monodimensionale, che nella sua dimensione sacra si fa utopia bidimensionale, fascia di Pomerio, per poi trasformarsi in mura e in città.

Sottrarre mateirale implica quella violenza del gesto che è intrinseca all’atto del costruire. Non più l’uomo che si nasconde nelle cavità della natura, ma quello che doma il paesaggio, lo piega alla sua scala, erige tempi agli dei. L’azione del togliere materia, più che edificare, diventa quindi azione prettamente umana; in un mondo in cui l’ignoto è ridotto a poche piccole aree, la sottrazione diventa atto fondamentale di materia, nessun intento espiatorio o catartico, c’è la ricerca, piuttosto, di linguaggi essenziali che si configurano in una strategia figurativa, un ritorno all’essenziale che rivela la complessità intrinseca dell’oggetto, in un continuo rimando di azioni che dalla contrapposizione traggono nuovi significati e nuove ipotesi evolutive.

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